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Dopo la “pace”, la nuova Guerra di Trump!

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Dopo la “pace”, la nuova Guerra di Trump!

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha da poco dichiarato “interamente chiuso” lo spazio aereo sopra e nei dintorni del Venezuela, in un messaggio pubblicato sul suo social network Truth, rivolto non solo alle compagnie aeree e ai piloti, ma anche ai narcotrafficanti e ai trafficanti di esseri umani. La dichiarazione fa parte di un più ampio contesto di pressioni statunitensi sul Venezuela, mirate ufficialmente a contrastare i cartelli della droga, ma che Caracas interpreta come un tentativo di cambio di regime.

La risposta del governo venezuelano, guidato da Nicolás Maduro, è stata immediata e netta, definendo le dichiarazioni di Trump un “atto ostile”, unilaterale e arbitrario, incompatibile con i principi fondamentali del diritto internazionale. Secondo Caracas, l’intervento americano rappresenta un tentativo di intimidazione e aggressione permanente contro il Paese e contro l’America Latina, con ambizioni coloniali, e ribadisce la piena sovranità sul proprio spazio aereo, protetto dalle normative dell’Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile (ICAO).

Il Venezuela ha sottolineato che non accetterà ordini, minacce o interferenze da potenze straniere e che nessuna autorità esterna ha il potere di condizionare l’uso dello spazio aereo nazionale.
L’annuncio di Trump è avvenuto in un contesto di crescente mobilitazione militare statunitense nei Caraibi. Gli USA hanno dispiegato risorse considerevoli, tra cui, da poco, la più grande portaerei del mondo, e hanno ricevuto il permesso di utilizzare infrastrutture aeroportuali di paesi vicini come la Repubblica Dominicana. Anche l’isola di Trinidad e Tobago ha ospitato esercitazioni del Corpo dei Marines statunitensi, mentre jet e soldati possono ora operare dalla struttura militare di San Isidro. Secondo quanto riportato dal New York Times, il tycoon USA avrebbe anche avuto contatti diretti con Maduro, parlando telefonicamente con il presidente venezuelano e discutendo della possibilità di un incontro negli Stati Uniti (incontro negli USA cui NON PARTECIPEREI se fossi nei panni di Maduro, potendo anche essere arrestato una volta arrivato negli States…)

La notizia di questo colloquio è emersa il giorno dopo che Trump aveva dichiarato che l’operazione statunitense per fermare il traffico di droga terrestre dal Venezuela era imminente, alimentando ulteriormente le tensioni.
L’amministrazione americana sostiene che l’obiettivo del massiccio dispiegamento militare sia quello di “frenare il narcotraffico”. Dall’inizio di settembre, le forze statunitensi avrebbero colpito più di venti navi venezuelane sospettate di contrabbando di droga nel Mar dei Caraibi e nell’Oceano Pacifico orientale, causando la morte di almeno 83 persone. Tuttavia, Washington non ha ancora presentato prove concrete che dimostrino che le navi colpite fossero effettivamente coinvolte nel traffico di sostanze illecite o rappresentassero una minaccia diretta per gli Stati Uniti (cosa molto opinabile). Esperti e analisti sottolineano che tali operazioni sembrerebbero equivalere a esecuzioni extragiudiziali, pur se mirate a individui noti per attività criminali.
L’attività militare statunitense ha comportato un aumento di presenza di jet da combattimento a pochi chilometri dalle coste venezuelane, creando una situazione di tensione costante. Le autorità aeronautiche statunitensi hanno emesso avvisi di cautela per i voli civili nello spazio aereo venezuelano, citando il peggioramento della situazione della sicurezza e l’intensificazione dell’attività militare. Queste raccomandazioni hanno portato diverse compagnie aeree, comprese sei delle principali operanti in Sud America, a sospendere i voli verso e dal Venezuela. In risposta, il governo di Caracas ha vietato l’accesso alle compagnie che avevano rispettato le indicazioni statunitensi, tra cui Iberia, TAP, Avianca, LATAM, GOL e Turkish Airlines, accusandole di aderire a azioni di terrorismo promosse dagli Stati Uniti.

Dal punto di vista politico interno, la rielezione di Nicolás Maduro l’anno precedente era stata contestata dall’opposizione, guidata da Maria Corina Machado, che aveva denunciato frodi elettorali, proprio la donna filoamericana, apprezzata e prescelta dalle lobbies USA, che ha da poco ricevuto uno strumentale Premio Nobel per la pace.

Il governo venezuelano sostiene che l’azione statunitense non sia motivata dalla lotta alla droga, ma piuttosto da un intento di cambiare regime. Per contrastare le pressioni esterne, Maduro ha organizzato esercitazioni militari e raduni di massa per dimostrare forza e sostegno popolare. L’opposizione anti USA e molti osservatori internazionali ritengono che le tensioni con Washington rappresentino una strategia americana per destabilizzare il governo venezuelano.
Le dichiarazioni e le operazioni statunitensi hanno anche innescato reazioni a livello internazionale. Alcuni leader europei hanno espresso preoccupazioni per la situazione, ma il Segretario di Stato USA Marco Rubio ha respinto tali critiche, sostenendo che l’Unione Europea non abbia il diritto di definire il diritto internazionale o di interferire nelle operazioni di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Rubio ha enfatizzato che gli Stati Uniti agiscono per proteggere il proprio territorio e i propri cittadini da minacce rappresentate da narcoterroristi criminali organizzati nell’emisfero occidentale. Ha inoltre sottolineato l’ironia secondo cui l’Europa riceve supporto militare dagli USA, incluso l’accesso a missili da crociera Tomahawk, ma si preoccupa quando gli stessi Stati Uniti dispongono di forze militari vicino al loro territorio.
Il contesto della dichiarazione di Trump si inserisce anche in un quadro di preoccupazioni (definibili anche aggressioni) geopolitiche e di influenza regionale. Gli Stati Uniti da anni considerano il Venezuela un punto strategico (o meglio una preda) nell’America Latina, sia per le sue risorse naturali, in particolare petrolio, sia per il suo ruolo nella regione. Il governo venezuelano percepisce le azioni statunitensi come parte di un disegno più ampio di aggressione e ingerenza, che mira a esercitare controllo politico ed economico sulla regione e a limitare la sovranità nazionale di Caracas.
Sul piano economico e civile, la chiusura dello spazio aereo ha avuto ripercussioni significative sui trasporti e sui collegamenti internazionali. La sospensione dei voli ha generato difficoltà per cittadini e aziende, mentre il governo statunitense continua a giustificare le proprie azioni con la lotta al traffico di droga e alla criminalità organizzata. Tuttavia, il dibattito internazionale sottolinea la complessità della situazione: mentre gli USA vedono le operazioni come misure di sicurezza nazionale, il Venezuela e parte della comunità internazionale le percepiscono come un’aggressione e un’interferenza negli affari interni di uno Stato sovrano.
La retorica utilizzata da entrambe le parti contribuisce ad alimentare una crisi diplomatica senza precedenti. La dichiarazione di Trump e le successive azioni militari statunitensi riflettono una strategia di pressione diretta, con l’obiettivo dichiarato di combattere il narcotraffico, ma con effetti politici collaterali di destabilizzazione interna. Dall’altra parte, il governo di Maduro risponde con fermezza, riaffermando la propria sovranità, organizzando dimostrazioni pubbliche e difendendo il diritto internazionale a sua tutela. Le relazioni tra Washington e Caracas, già tese da anni di sanzioni, accuse reciproche e conflitti ideologici, hanno quindi raggiunto un livello di escalation significativo.
Un elemento centrale di questa crisi è il ruolo dei media e della comunicazione diretta dei leader. Trump ha utilizzato Truth, il suo social network personale, per rivolgersi direttamente non solo alle autorità e agli operatori commerciali, ma anche ai narcotrafficanti, bypassando canali diplomatici tradizionali e creando una pressione pubblica e mediatica sul Venezuela. Questa strategia evidenzia il carattere personalizzato e spettacolare della comunicazione politica contemporanea, in cui i leader agiscono direttamente attraverso piattaforme digitali per influenzare opinioni e decisioni, sia interne che internazionali.

In conclusione, la dichiarazione di Trump e le azioni militari degli Stati Uniti nei Caraibi costituiscono un punto di forte tensione nei rapporti tra Washington e Caracas. Il governo venezuelano interpreta giustamente tali mosse come un’aggressione diretta e un tentativo di destabilizzazione, mentre gli Stati Uniti le presentano come “necessarie per la protezione nazionale e la lotta contro il narcotraffico” seppure condannate persino dall’ONU e considerate come VIOLAZIONI del diritto internazionale. La crisi evidenzia le sfide della sovranità nazionale, della legalità internazionale e delle dinamiche di potere regionale, mostrando come questioni di sicurezza, politica interna ed economia si intreccino in un contesto geopolitico complesso e delicato, dove però svetta, come di consueto, il tentativo imperialistico USA di mantenere a tutti i livelli una leadership mondiale sempre piú traballante.

Vedremo come prosegue questo ennesimo braccio di ferro internazionale.

Alla prossima.

Anna

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