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La “pace” dopo il genocidio. Breaking News

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La “pace” dopo il genocidio

La notizia arrivata da poco — lo scambio di ostaggi e la tanto decantata “pace” tra Israele e Hamas — va raccontata senza i toni trionfalistici con cui la politica tenta di nascondere le verità scomode e di presentare la tragedia come un successo. Quello che viene presentato come un successo diplomatico nasconde invece un abisso di contraddizioni e ipocrisie, tanto a Gerusalemme quanto nelle capitali occidentali e finanche nelle capitali di diversi paesi islamici, diciamo “doppiogiochisti”.

Gli scambi di ostaggi: la cronologia dei fatti.
Nelle ultime ore, una sequenza serrata di eventi ha scandito il ritorno alla calma apparente nella regione.
9 ottobre: viene annunciato un accordo di cessate il fuoco che prevede la restituzione di tutti gli ostaggi ancora vivi e un ampio rilascio di prigionieri palestinesi. È il primo passo concreto verso quella che viene chiamata “pace definitiva”.
12 ottobre: i mediatori internazionali confermano che Hamas avrebbe liberato i 20 ostaggi sopravvissuti entro 72 ore, mentre Israele avrebbe scarcerato tra i 1.700 e i 1.900 detenuti palestinesi, molti dei quali arrestati durante l’ultimo anno di conflitto.
13 ottobre (mattina): le operazioni di scambio iniziano realmente. I convogli israeliani attraversano il corridoio di Netzarim e di Khan Younis per ricevere gli ostaggi, mentre decine di bus palestinesi lasciano le carceri israeliane. Tuttavia carcerati palestinesi da Anni nelle terribili prigioni israeliane del deserto del Negev, anzichè essere rilasciati nelle loro zone Di provenienza Della Cisgiordania vengono rilasciati e deportati nella Striscia Di Gaza. Contestualmente vengono riconsegnati anche i corpi di numerosi prigionieri morti durante la guerra: una contabilità tragica che accompagna l’accordo.
In tutto, circa venti persone rientrano vive da Gaza, mentre quasi duemila palestinesi vengono liberati. Dietro ai numeri, resta il bilancio di un conflitto che ha distrutto famiglie, città e coscienze.

Le parole nella Knesset: l’ipocrisia ad alta voce.
Nella Knesset, il Parlamento israeliano, si è consumata la parte più teatrale di questa nuova fase. Donald Trump, accolto nella mattina del 13 ottobre, come “l’artefice della pace”, ha tenuto un discorso infarcito di retorica sulla forza, sulla libertà e sulla rinascita del Medio Oriente. Benjamin Netanyahu lo ha ringraziato pubblicamente, parlando di “pace attraverso la potenza”, e i due si sono scambiati elogi solenni, che sono però apparsi come ipocriti scambi di teatralità finte per la stampa e i media.
Nessuno dei due, tra l’altro, ha pronunciato nemmeno una volta le parole “Palestina”, “ricostruzione” o “responsabilità”. Nessun accenno alla devastazione di Gaza, alle migliaia o meglio decine di migliaia e anche piú, di morti civili, ai bambini mutilati e bruciati, alle case rase al suolo, agli ospedali bombardati, ai giornalisti presi di mira e uccisi Mentre documentavano la strage. La pace, in questa retorica, sembra un dono calato dall’alto, non un diritto conquistato tra le macerie.
È una pace che non chiede perdono, che non si interroga sulle sue cause, ma che si limita a chiudere un capitolo con la presunzione del vincitore.

Le interruzioni e la voce del dissenso.
Non tutti, però, hanno accettato in silenzio questa rappresentazione. Durante il discorso di Trump alla Knesset, due partiti di sinistra israeliani, noti per le loro posizioni filo-palestinesi e anti-sioniste, hanno interrotto l’intervento con cartelli e slogan di protesta. “Questa non è pace, è un armistizio sulla vergogna”, ha gridato uno dei deputati prima di essere allontanato dalla sicurezza.
La scena è durata pochi minuti, ma ha ricordato a tutti che dentro Israele esiste ancora una parte di società che non si riconosce nella narrazione ufficiale. Una minoranza che chiede verità, giustizia e responsabilità, contro la retorica del “tutto è finito”.

La scena internazionale: la pace come spettacolo globale.
Intanto, in Egitto, i riflettori si accendono sulla città dei Resort dorati, Sharm el-Sheikh, dove si riuniscono i leader mondiali per la proclamazione ufficiale della pace. Tra loro, gli stessi capi di governo europei e occidentali (anche Giorgia Meloni) che per mesi — e in alcuni casi per anni — hanno sostenuto incondizionatamente Israele, giustificando o ignorando le sue operazioni militari.
Ora sono lì, fianco a fianco con Trump, a parlare di “riconciliazione storica”. Ma l’immagine del summit egiziano non racconta una pace condivisa: racconta piuttosto una comunità internazionale che si autoassolve, celebrando la fine della guerra senza riconoscere le proprie complicità.

Sono gli stessi leader che hanno fornito armi, coperture diplomatiche e giustificazioni morali alle offensive israeliane, e che oggi si fanno promotori del “nuovo inizio”. La loro pace è una scenografia, non una riflessione etica.

L’ipocrisia come protocollo politico.
“Peace made possible”, recitano i titoli dei comunicati ufficiali. Ma quale pace è possibile quando nessuno ammette le proprie colpe? La pace proclamata non cancella il dolore né le responsabilità. Non può restituire i bambini uccisi, né ridare voce alle famiglie scomparse sotto le macerie di Gaza.
La comunità internazionale parla di stabilità e ricostruzione, ma evita accuratamente il tema della giustizia. Non si parla di tribunali, di indagini, di crimini di guerra. Si preferisce un linguaggio neutro, cerimonioso, dove le parole “verità” e “riparazione” vengono sostituite da “resilienza” e “cooperazione”.
E così la pace, invece di essere un percorso di riconciliazione, diventa un atto di propaganda globale. Una fotografia utile a chi deve mostrarsi vincitore, ma inutile a chi ha perso tutto.
Finché la politica mondiale continuerà a confondere la fine delle ostilità con la giustizia, non ci sarà vera pace a Gaza. Ci sarà solo silenzio, mascherato da applausi.
E Intanto, mentre Trump continua ad essere considerato un candidato papabile per un prossimo Premier Nobel per la pace che per ora gli è stato “sfilato” dall’attribuzione alla leader dell’opposizione Venezuelana, Maria Corina Machado, filo USA e pro neoliberismo selvaggio e quindi ottima bandiera contro il “cattivo e scomodo” Maduro, Netanyahu continua ad avere sulla sua testa la (giusta) condanna della Corte penale internazionale, come criminale di Guerra. Ma forse quest’ultima è ormai un’altra Storia…
Comunque, come sempre, le sceneggiature di sistema ci presentato Angeli e Demoni al contempo…

Alla prossima.

Anna

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9 comments

Sergio Salvelli 17/10/2025 at 17:48

Bel pezzo Anna ,nel dolore.Ti siamo vicini.

LUIGI ZUCCARELLI 16/10/2025 at 11:50

Le mie più sentite condoglianze Anna.

ATur 16/10/2025 at 12:32

Grazie di cuore, Luigi…

Ariel 06/11/2025 at 07:09

Cara e brava Anna, sempre grazie.

Claudia 16/10/2025 at 07:02

Condoglianze Anna

ATur 16/10/2025 at 11:20

Grazie di cuore, Claudia…

ATur 16/10/2025 at 01:16

🤍

Giovanni Oliveri 15/10/2025 at 20:30

Condoglianze

ATur 16/10/2025 at 11:20

Grazie di cuore, Giovanni…

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