Torino, 3 ottobre 2025: dalla piazza pacifica agli “incappucciati”. Un déjà-vu dal G8 di Genova
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Torino, 3 ottobre 2025: dalla piazza pacifica agli “incappucciati”. Un déjà-vu dal G8 di Genova
Il corteo pro-Palestina di Torino del 3 ottobre 2025, cioè ieri, nasce come una manifestazione pacifica.
Studenti, sindacati di base, collettivi universitari e associazioni scendono in piazza con migliaia di persone per chiedere la fine della guerra a Gaza e la sospensione delle forniture militari italiane a Israele. Striscioni, cori e sit-in, documentati per oltre un’ora e mezza, mostrano una protesta civile e compatta.
Ma verso le 16:10 di ieri, il copione cambia drammaticamente.
Un gruppo di circa cinquanta persone, inizialmente indicate come quasi 200, vestite di nero, si stacca dal corteo all’altezza di corso Castelfidardo.
Non intonano slogan legati alla Palestina, non dialogano con gli altri manifestanti. Si muovono compatti, con caschi e sciarpe, ricordando da vicino le modalità operative dei famigerati “black bloc”, infiltrati nelle manifestazioni avvenute nel G8 di Genova del 2001.
Dieci minuti dopo, l’assalto alle OGR: vetrate infrante, serrande divelte, lanci di oggetti. Le immagini circolate sui social mostrano azioni mirate e rapide, prive della spontaneità di una protesta di piazza. Subito interviene la polizia con cariche di alleggerimento, mentre il corteo pacifico si ferma, prende le distanze e in parte si siede a terra per segnalare la propria estraneità.
La sequenza sembra un déjà-vu. Al G8 di Genova del 2001, la comparsa dei black bloc aveva prodotto lo stesso effetto: un corteo pacifico ribaltato mediaticamente in “sommossa urbana”. Anche allora, piccoli gruppi in nero agirono con precisione militare, colpendo obiettivi simbolici e poi disperdendosi nel tessuto urbano. Il risultato fu un cortocircuito informativo: l’opinione pubblica finì per ricordare le vetrine sfondate più che le ragioni di chi manifestava contro la globalizzazione neoliberista.
A Torino la dinamica appare ricalcata. La protesta pro-Palestina, in gran parte composta da giovani studenti, rischia di essere oscurata dall’azione di spezzoni estranei o quantomeno separati. Le domande si ripetono: infiltrati o militanti autonomi? Perché le forze dell’ordine lasciano che il gruppo in nero si stacchi indisturbato prima di intervenire solo a danno fatto?
I collettivi studenteschi e i sindacati di base, nelle ore successive, hanno diffuso comunicati chiari: “La nostra lotta è pacifica, non ci rappresentano gli incappucciati”. Una presa di distanza netta, che ricorda la frattura del 2001 tra il movimento no-global e le frange violente.
Il parallelismo non è solo estetico. In entrambi i casi, pochi minuti di devastazione cancellano ore di partecipazione pacifica. In entrambi i casi, i media generalisti scelgono di aprire con le immagini di vetrine distrutte, e non con le voci dei manifestanti. In entrambi i casi, la legittimità di una protesta di massa viene messa in discussione da un’azione minoritaria.
A ventiquattro anni da Genova, lo schema si ripete: gruppi in nero che si muovono come corpi estranei dentro cortei più ampi, capovolgendo il significato politico della piazza. A perdere non è solo la causa immediata – allora la critica alla globalizzazione, oggi la solidarietà con la Palestina – ma la possibilità stessa di una protesta di massa non criminalizzata.
Il paradosso è che, mentre i movimenti provano a mantenere il terreno della nonviolenza, è proprio l’immagine del “nero” a tornare ciclicamente come arma di delegittimazione.
Il sistema occulto delle armi, delle guerre e della finanza che si nutre di queste, tende ad autoconservarsi, infiltrando agenti guastatori nei movimenti per la pace e per la giustizia? Questa tecnica ben nota ai regimi moderni era finanche stata ammessa molti anni fa dall’allora Ministro degli Interni Francesco Cossiga…
Può essere così, e la figura del cavaliere nero, di matrice hollywoodiana, scura e cattiva, continua a ronzarmi nel cervello…
Alla prossima.
Anna
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