cavie e profitti dell'industria farmaceutica
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Cavie e profitti dell’industria farmaceutica: Relazione Prof. Marco M. Capria

Il vaccino

La commissione dell’EMA (= Agenzia europea dei medicinali) ha emesso il 21 dicembre un parere favorevole all’innovativo vaccino Comirnaty della Pfizer, nella forma dell’«autorizzazione commerciale condizionale» che si applica quando la documentazione allegata alla richiesta di autorizzazione è «meno completa del normale», ma il medicinale «viene incontro a bisogni insoddisfatti» e «i benefici superano i rischi».

Il 10 dicembre la FDA (=Food and Drug Administration) statunitense aveva dato la sua approvazione, e già molti giorni prima che l’EMA si pronunciasse i principali media anticipavano che anche l’EMA avrebbe dato un’approvazione. Intanto la Pfizer era già al lavoro da mesi per produrre «milioni di dosi». Pensare che FDA e, ancor più, EMA non si sentissero, per usare un eufemismo, “sotto pressione”, significa credere di vivere in un mondo che non è quello reale.

Anche se chi è pagato per vedere e lodare il vestito nuovo dell’imperatore non si farà certo impressionare da certi trascurabili dettagli, per gli altri può essere utile sapere che l’89% dei 330 milioni di euro del finanziamento annuale del’EMA deriva… dall’industria farmaceutica stessa. E la FDA? La percentuale è minore: il 45%. Ma corrisponde a 1,5 miliardi di dollari, sempre all’anno (New Scientist, 30 novembre 2019). Qui siamo nettamente oltre i “normali”, seppure intollerabili, conflitti di interesse della ricerca biomedica.

Sarà questa una importante ragione per cui FDA e EMA sono d’accordo in più del 90% dei casi sull’approvazione di nuovi farmaci? È una questione delicata e profonda che lascio al giudizio del sagace lettore.

Comunque quella parte della cittadinanza che è disposta a dare la propria fiducia a chi, per proteggerla dal freddo, 1) le vende la pelle dell’orso prima ancora che l’esistenza di un orso sia stata provata, 2) certifica che la propria merce è “vera pelle d’orso” (la documentazione alla base dell’approvazione non è pubblica) e 3) ha nella sua storia recente (2009) la più grossa multa di tutta la storia dell’industria farmaceutica per «fraudulent marketing» (penso che si capisca anche senza traduzione) – fa bene a mettersi in fila per farsi vaccinare il prima possibile.

Per questi cittadini, naturalmente, non è un indizio di insicurezza del prodotto se le industrie produttrici abbiano richiesto e ottenuto l’esenzione dalle cause legali in caso di danni provocati dal vaccino (qualcosa che ai costruttori di automobili è giustamente negato da oltre mezzo secolo), e che i governi, che in teoria dovrebbero subentrare e indennizzare, cercheranno in tutti i modi di non pagare un soldo ai danneggiati (se dobbiamo basarci sul loro comportamento a proposito degli altri vaccini).

I principali media si stanno portando avanti con il lavoro avvertendo che se in una casa di riposo per anziani sottoposti al vaccino anti-covid-19 qualcuno muore poche ore o pochi giorni dopo, la colpa non è del vaccino: tanto morivano in ogni caso (mentre, come sappiamo, se una di queste persone moriva di una delle malattie di cui era sofferente ma risultava positiva, anche dopo il decesso, allora nessun dubbio: era morta di covid-19).

Non bisogna prendersela con i volontari dei vaccini, anzi. Essi stanno dando una mano non solo alla ricerca biomedica (vedi sopra), ma anche alla vaccinovigilanza precoce. Per esempio, adesso sappiamo che tra gli effetti avversi potrebbero esserci anche quelli psichiatrici, come suggerito dal caso di un’operatrice sanitaria statunitense, a cui il vaccino ha provocato una reazione che l’ha costretta alla terapia intensiva:

«La donna ha sviluppato rush [sic: rash] cutanei, tachicardia e una crisi respiratoria, e le è stata somministrata epinefrina per placare i sintomi, che però si sono ripresentati, ed hanno costretto i medici curanti a fare anche uso di steroidi. Un ulteriore aggravamento ha costretto ad un ricovero in terapia intensiva

Nondimeno a quanto pare ne è uscita viva, o almeno abbastanza per poter dichiarare (immagino con un filo di voce) che «resta entusiasta del vaccino». Un caso di sindrome di Stoccolma?

I cittadini fiduciosi, quando sentono parlare di “manipolazione della percezione del rischio”, reagiscono ormai secondo uno spettro che va dall’irrisione (“Complotto!”) alla maledizione condita d’indignazione (“Vorrei che tu avessi un congiunto morto di covid-19…”). Anche i soli dati di questa sezione basterebbero a provare la nullità intellettuale di tali reazioni, e a valutare per quello che merita la sezione sulle «Fake news» (l’hanno chiamata proprio così!) dell’ISS, di cui però salvo la seguente affermazione, con cui ci si sta già coprendo le spalle (mio grassetto):

«Anche dopo essersi sottoposti alla vaccinazione bisognerà continuare a osservare misure di protezione nei confronti degli altri, come la mascherina, il distanziamento sociale e il lavaggio accurato delle mani.»

Ecco il tanto desiderato e promesso ritorno alla normalità

Resta una domanda: come si è riusciti a far sragionare sistematicamente una considerevole percentuale della popolazione nel nostro e in altri paesi? Un giorno, ne sono certo, si parlerà del covid-19 nelle scuole di management e di marketing.

Molti altri hanno invece capito che la manipolazione della percezione del rischio relativamente al covid-19 aveva appunto, tra i suoi scopi, quello di preparare l’intera popolazione mondiale – con un posto di riguardo, ovviamente, per il Bel Paese che fino al 2019 è stato il «capofila per le strategie vaccinali a livello mondiale» – a fare da cavia a una gigantesca sperimentazione farmacologica con colossali profitti per l’industria farmaceutica. E tra le cavie non troveremo personalità che con la loro intensa vita pubblica sarebbero maggiormente a rischio, e che invece sembrano ansiose, come i cittadini modello che sono, di non “saltare la fila” – per pura abnegazione, sia ben chiaro.


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