Asintomatico infettivo o malato senza sintomi?
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Asintomatico infettivo o malato senza sintomi?: Relazione Prof. Marco M. Capria

“Casi”

Prendiamo adesso un rapporto recente dell’ISS. Secondo tale rapporto, al 22 dicembre in Italia ci sono stati 1.963.023 «casi», e 67.540 «deceduti». La «letalità» è il rapporto:

67.540/1.963.023 ~ 3,4%.

Voglio adesso spiegare perché ognuna delle tre parole virgolettate è problematica. Innanzitutto: che cos’è un «caso»? Andando in un’altra pagina dell’ISS si legge:

«Si ricorda che la definizione internazionale di caso, adottata anche dall’ISS, prevede che venga considerata come caso confermato una persona con una conferma di laboratorio del virus che causa COVID-19 a prescindere dai segni e sintomi clinici

Quindi la definizione utilizzata dall’ISS è in conflitto con le indicazioni (per quanto tardive) dell’OMS sopra citate: un «caso» nel senso dell’ISS è un individuo positivo al tampone, senza la contestualizzazione che l’OMS ritiene indispensabile a dargli un significato clinico.

A partire dal 23 aprile nelle statistiche della Protezione Civile, oltre al totale dei tamponi effettuati, c’è anche una nuova colonna dei “casi testati”, in cui figurano numeri nettamente più bassi. Così fino al 22 dicembre i tamponi effettuati sono stati 25.383.219, ma le persone testate sono state solo 14.386.848. Ora i “casi” sono stati 1.301.573, quindi il 9% degli individui testati è stato positivo in un qualche momento tra febbraio e dicembre del 2020. La mortalità del covid-19 è stata, su tutta la popolazione italiana (di 60,3 milioni di abitanti) dell’1,6%. Torneremo successivamente sulla questione di quale significato dare a questa percentuale.

Cambio di criteri

Come mai l’OMS si è finalmente sbilanciata? Perché non aveva spiegato il rischio di falsi positivi con un alto Ct molto prima? Una spiegazione plausibile è che regole più stringenti per la diagnosi del covid-19, in corrispondenza dell’inizio della campagna vaccinale, permetteranno di diminuire i falsi positivi e attribuire tale diminuzione al vaccino.

Non sarebbe la prima volta che il successo di una campagna di vaccinazioni è stato realizzato cambiando definizioni chiave e criteri diagnostici da prima a dopo l’inizio della campagna. Forse l’esempio più famoso è quello del cambiamento della definizione di epidemia e di poliomielite da prima a dopo l’introduzione del vaccino Salk (si veda la dichiarazione di Clinton Miller davanti alla Camera dei Rappresentanti degli U.S.A. nel 1962).

Un aspetto interessante dei programmi scolastici di storia è che la storia della medicina (anche solo quella dell’ultimo secolo) non ne fa parte, e anche episodi di ovvia importanza sotto molti profili come quello appena citato non sono esposti nei manuali. Poiché non siamo “complottisti” l’unica spiegazione valida è una involontaria dimenticanza…

“Caso” o malato?

Normalmente in medicina un “caso” di una certa malattia è una persona malata. Ma così non è con i “casi” di covid-19: in breve, tra i casi di covid-19 il malato non è la regola, ma l’eccezione.

Notiamo innanzitutto la fine distinzione che si è tracciata tra gli stati di non-malattia tra i positivi (si veda l’Appendice):

  • l’asintomatico (non ha sintomi e non li avrà mai);
  • il presintomatico (non ha sintomi, ma li avrà (?) entro un massimo di 14 giorni);
  • il paucisintomatico (ha “pochi” (?) sintomi);
  • il lievemente sintomatico.

In alcune statistiche si è raggiunto il sublime contemplando una quinta categoria: il sintomatico ma senza precisazione del sintomo. A queste categorie di non-malattia fanno seguito i casi di malattia, distinti tra severi e critici.

Che l’asintomatico sia contagioso è qualcosa che si continua a ripetere da parte di chi vorrebbe tornare dalla scienza alla magia, ma, alla fine del 2020, non esistono prove convincenti che questo sia vero. E nemmeno esistono test di infettività in uso corrente che possano stabilirlo in un caso particolare.

Per capire quale sia l’incidenza delle prime 4 classi rispetto alle altre 2 basta guardare il seguente grafico, aggiornato al 30 novembre.

È chiaro che dal mese di luglio in poi i casi severi o critici formano meno del 5%. Per considerare il periodo successivo, nei 30 giorni fino al 22 dicembre ci sono stati 490.197 casi, e circa 24.510 sono stati severi o critici. Se consideriamo che il 9% della popolazione italiana sono stati “casi” tra

Relazione Prof. Marco M. Capria

febbraio e dicembre, ma meno del 5% di questi hanno avuto bisogno del ricovero in ospedale, si ricava che nello stesso periodo il rischio di essere ospedalizzati in un reparto covid-19 è stato lo 0,45%, cioè 1 su 2222.


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1 comment

Sebastiano Todesco 18/01/2021 at 15:42

non commento altrimenti mi chiamano negazionista, che forse lo sarei pure se guardo ad una storia raccontata da criminali, fascista, che sicuramente e con orgoglio lo sono, complottista che in verità sono io a ritenere i criminali elettori dei partiti di governo e maggioranza, sono i veri complottisti, anche i sassi si sono accorti che loro complottano contro gli italiani e l’Italia.

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